domenica 25 ottobre 2009

POCHI MA AGGUERRITI. E FELICI.

Pochi, ma agguerriti. Agguerriti, e felici. Felici di morire o di vivere per Ciò in Cui si crede. Quindi, sempre e comunque, da uomini Liberi. Pochi sulla terra, ma miriadi nei Cieli. Pochi ma solo apparentemente, dunque. Perché le truppe avversarie che vediamo, niente più che telluriche e materiali, sono un’illusione; fantasmagoria è il loro numero, falsa è la loro potenza. Guardando Oltre, si può Vedere che le forze nemiche sono solo un terzo delle Nostre. Anche se talvolta, quaggiù, le Forze della Tradizione possono sembrare poche, anche se in alcuni momenti questo Esercito può apparire esiguo, ciò non corrisponde alla Verità, e non scoraggerà il buon Cavaliere. Egli, un Giorno, potrà essere orgoglioso delle sue cicatrici, fiero di aver combattuto, lieto di non essere stato codardo, e avrà Giusta Ricompensa per essere stato fedele alla Causa. Egli non si cura di coloro che non intendono combattere con lui, perché sa che se il nemico avanza, non è bene darsi a contare le truppe, i cavalli, le lancie e le alabarde che stanno da una parte e dall’altra, ma è meglio piuttosto ben legare lo Scudo e sguainare la Spada.
Oggi è il giorno dei Santi Crispino e Crispiano. Il giorno della Battaglia di Agincourt.
Non dimentichiamolo. Non dimentichiamo l’esempio e il coraggio di quei valorosi soldati.
Enrico V pregò. Poi, secondo William Shakespeare, con queste sante parole incitò i suoi alla battaglia:

Se è destino che si muoia, siamo già in numero più che sufficiente;
e se viviamo, meno siamo e più grande sarà la nostra parte di gloria.
In nome di Dio, ti prego, non desiderare un solo uomo di più.
Anzi, fai pure proclamare a tutto l'esercito che chi non si sente l'animo di battersi oggi, se ne vada a casa:
gli daremo il lasciapassare e gli metteremo anche in borsa i denari per il viaggio.
Non vorremmo morire in compagnia di alcuno che temesse di esserci compagno nella morte.
Oggi è la festa dei Santi Crispino e Crispiano;

colui che sopravviverà quest'oggi e tornerà a casa,
si leverà sulle punte sentendo nominare questo giorno, e si farà più alto, al nome di Crispiano.
Chi vivrà questa giornata e arriverà alla vecchiaia, ogni anno alla vigilia festeggerà dicendo:
"Domani è San Crispino";
poi farà vedere a tutti le sue cicatrici, e dirà:
"Queste ferite le ho ricevute il giorno di San Crispino".
Da vecchi si dimentica, e come gli altri, egli dimenticherà tutto il resto, ma ricorderà con grande fierezza le gesta di quel giorno.
Allora i nostri nomi, a lui familiari come parole domestiche - Enrico il re, Bedford ed Exeter, Warwick e Talbot, Salisbury e Gloucester - saranno nei suoi brindisi rammentati e rivivranno questa storia.
Ogni brav'uomo racconterà al figlio, e il giorno di Crispino e Crispiano non passerà mai, da quest'oggi,
fino alla fine del mondo, senza che noi in esso non saremo menzionati; noi pochi.
Noi felici, pochi.
Noi manipolo di fratelli: poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello,
e per quanto umile la sua condizione, sarà da questo giorno elevata,
e tanti gentiluomini ora a letto in patria

si sentiranno maledetti per non essersi trovati oggi qui,
e menomati nella loro virilità sentendo parlare chi ha combattuto con noi

questo giorno di San Crispino!

25 ottobre, Anno Domini 1415. Settemila uomini appiedati, contro venticinquemila di cui mille a cavallo, vinsero il combattimento.

lunedì 19 ottobre 2009

LA VENDITRICE DI THE'

Le notizie corrono da un lato all’altro di questo Impero disgregato con la velocità del fulmine, e altrettanto velocemente vengono spesso dimenticate, o del tutto ignorate.
In India, scansata da molti, stava ai lati d’una strada una giovane venditrice di thè, bevanda che versava ai passanti assetati in piccoli bicchieri, dietro altrettanto piccolo compenso. Ella era così povera, che viveva in un tugurio, ai margini della parte più misera della città, insieme all’anziana madre.
Per Misterioso Volere, passarono un dì da quelle parti due viandanti, di quelli che scrivono notizie affinchè tutti le conoscano, che riconobbero, appeso in quel tugurio, l’immagine d’un Imperatore, Bahadur Shah Zafar, ultimo dei Moghul. Per qual motivo, chiesero, quel ritratto appeso? Per qual ragione tanta venerazione per un Monarca non più regnante in una povera venditrice di thè? È un mio antenato, ripose quella.
In quelle vesti umillime, davanti a loro, stava Mahdu Bedar, figlia di Sultana Begum, trisnipote di Bahadur Shah, figlio di Akbar Schah, discendente di Babur il Conquistatore, della Stirpe Regale del Grandissimo Timur Barlas, meglio noto in Occidente come Tamerlano; ella è discendente di quella Dinastia Imperiale che fece costruire, tra l’altro, il Taj-Mahal, uno dei monumenti più grandi e meravigliosi del mondo.
Quella povera donna, dimenticata da tutti, ora riceve proposte di matrimonio d’ogni parte del mondo e pure ha ricevuto un lavoro dal Governo indiano. Solo ora..
Attenti soldati orgogliosi, cavalieri altezzosi ed arroganti, governanti superbi, che uscendo dalle Chiese avvolti nei vostri lussuosi mantelli, schivate il povero al lato della porta.. Ricordate che in quello potrebbe celarsi un Nobile, un Re e financo un Imperatore più grande di voi.
Ricordate che la fortuna, velut luna, statu variabilis, come la rota che sta sopra l’entrata della Cattedrale a rammentarlo, gira senza sosta, e domani, dai vostri seggi di potere, di governo, di ricchezza, potreste trovarvi ai lati d’una strada, a chiedere l’elemosina o forse, a vendere thè…
Il buon Cavaliere conosce la Verità. Non si arroga il potere e la capacità di stimare e giudicare chi gli sta innanzi, solo guardando le vesti che indossa. Ma riconosce sempre nel povero che incontra un Re, un Nobile, o un Imperatore, anzi, di più: riconosce in lui il Re dei Re. Gli offre quel poco che ha, giacché il mestiere delle armi non dà grandi ricchezze, e lo invita a mangiare e a bere. Se non ha nulla, gli offre il proprio mantello, ricordando di come il Soldato Martino coprì il Signore ignudo. Sa che qualsiasi cosa egli faccia a "al più piccolo dei suoi fratelli", l’avrà fatta a Lui.